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da La Sicilia 07 luglio 2009:

La piena rovinosa della vita che travolge il nulla

Poesie in transito quelle di Umberto Piersanti edite tra il ’67 e il ’99; ora raccolte in una silloge- “Tra alberi e vicende” (Archinto, pgg 310, € 14,00)a cura di Alessandro Moscè. In direzione di luoghi e tempi di poesia ( la triade einaudiana ), disancorati da vissuti di  pura soggettività, immersi in “uno spazio di incroci”, in “una vastità che raccoglie il tempo e le vicende”(A. Moscè).
Un percorso iniziatico a spirale, come i viaggi delle fiabe, per approdare a un punto d’arrivo che risulta essere quello di partenza. Un andare e ritornare da e verso un luogo d’origine che coincide con un tempo- “La breve stagione”,’67- perduto e ritrovato d’innocenza, di  beata inconsapevolezza. In questa opera d’esordio già troviamo le figure e i simboli del mondo poetico di Piersanti. “La casa perduta tra i greppi”, la stessa che ritorna- “la mia casa nel fosso sprofondata”- in “Passaggio di sequenza”, l’ultima raccolta del ’90, a chiudere in un orizzonte circolare il “Tempo differente”.Tempo del sogno, della visione, della memoria poetica, tempo di recupero e di salvezza, che s’avvita su se stesso sottraendosi alle insidie e alle minacce di quello esistenziale. Tempo naufragante in un epico canto dove in slarghi e anse si compongono pacificati i temi reiteranti del poeta marchigiano. La Natura nel suo prodigioso mutare, nel trascolorare di luce e di colori al ciclico succedersi di ore, giorni e di stagioni. La piena rapinosa della vita che  travolge nella sua incontenibile fisicità ogni vano, empio tentativo di imbrigliarne il corso e frenarne il rovinoso precipitare verso il nulla.
Da qui “L’urlo della mente”, la malattia, lo straniamento, la perdita di senso, l’incapacità a vivere con alle spalle, fedele come un angelo custode, l’ombra funesta della morte. E poi in una resurrezione improvvisa dell’anima e del corpo, il ritorno alla pienezza vitale, l’accensione dei sensi, l’immersione salvifica nel grembo della Terra, come in un corpo di donna. La terra-aria, luce, collina- le Cesane-; la terra-strega, fata delle fantasticherie infantili con gli occhi cerulei di Madìo e la grazia umile della Fenisa, creature familiari e di mistero. E poi la terra-polis, spazio di  gioiosa, dilaniante alterità negli anni ribelli- il 68- delle lotte, delle baldanze giovanili e dei brucianti disinganni. Ma sempre e ovunque “Urbino ventoso” con le aeree torri, le luminose arcate, i fondali e le quinte raffaellesche, le trasognate atmosfere e le ombre scure dietro i porticati. Una sensibilità pittorica, una scenografica ampiezza di sguardo, un monologante narrare, e momenti di elegia, di lirico ripiegamento, che preludono e trovano il loro compimento nella classica liricità delle opere più recenti.

Anna Vasta

 
 
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