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da il Manifesto 18 novembre 2004:

L’autoritratto di Piersanti in Dvd
Passeggiate del poeta lungo le terre che circondano Urbino e impastano i suoi versi

Un pomeriggio dei primi di novembre, in una pausa del convegno su Paolo Volponi, il poeta Umberto Piersanti aveva trascinato alcune persone a visitare la chiesa romanica di san Giovanni Battista che sorge, con la facciata a vela in pietra cruda, dietro la piazza centrale di Cagli, pochi chilometri a sud di Urbino. Un residuo di luce piovente entrava nella chiesa illuminandone il lato sinistro dove il poeta si era andato a piazzare, proprio davanti a un affresco di Giovanni Santi, il padre/maestro di Raffaello, intitolato Sacra conversazione - Ressurrezione tutto scandito in verticale secondo un modulo che alle ieratiche figure di un interno, la parte bassa del dipinto, fa corrispondere in alto uno scorcio panoramico dove si riconoscono perfettamente le macchie e i contrafforti che disegnano le terre di Urbino.
Più che alla impaginazione e alla postura dei corpi, così rigida e lignea da evocare subito l’esempio dell’officina ferrarese e di Cosmè Tura in particolare, Piersanti parlando stava attento allo stratificarsi del colore freddo e a certe minuzie che potrebbero sembrare decorative e però non lo sono mai, come un fiore, un erba o un albero, che infatti lui sa nominare uno a uno dentro a una specie di estasi nomenclatoria, per un istinto alle cose della natura che già presagisce la materia prima dei suoi versi.
Piersanti è in laico che diffida do ogni metafisica, è un illuminista lontano sia dalla sensiblerie ecologista sia dalla mistica delle piccole patrie, però sente il radicamento alla terra, il fisico poggiare su il terreno (cioè il trarne costante alimento, e sentirsene irreparabilmente avvolto e sconvolto) come nessun altro poeta che si sia formato in Italia nel tardo Novecento. Né Piersanti si è mai vergognato di richiamarsi al Pascoli georgico o di proclamare il suo amore per la parola vigorosa e aspra di Giosue Carducci, che tanti altri ritengono un anacronismo . L’emblema della sua poesia è un fiore povero e bellissimo, il favagello, un filamento giallo che screzia i muri a secco dell’antica città sul finire dell’inverno, perciò un fiore che annuncia i trapassi stagionali, non solo una struggente epifania ma il richiamo quasi impalpabile, del tempo che si intromette nello spazio, mutandone il senso e la ritmica percettiva. Che una specifica, singolare, idea dello spazio – tempo presieda la sua opera in versi e in prosa lo conferma l’autoritratto contenuto nel dvd Umberto Piersanti – Un poeta e la sua terra (regia di Massimiliano Napoli, DvdBook-ExtraVideo,Alice.it, euro 15.00).
Nato a Urbino nel ‘ 41, tuttavia è cresciuto sulle Cesane, l’altopiano che incornicia da sud la città feltresca. Qui si aprono dentro un silenzio dilagante, che sembra non avere confini, i luoghi della propria educazione, dove la memoria contadina, costituitasi presto in tradizione folclorica, ha visto sorgere leggende di magia bianca, storie popolate da animali e folletti, di malocchio e riti della fertilità. Nella raccolta che lo ha rivelato al grande pubblico, li ha chiamati appunto I luoghi persi (Einaudi 1994), vale a dire sperduti ma nel frattempo sciupati e rimossi dalla memoria collettiva; e sono essi che esprimono al presente il solo possibile mito: non un evasione o un risarcimento nostalgico, ma una pienezza utopica da portare sempre con sé, quale nuda eredità dell’umano dentro un mondo ormai completamente omologato e denaturato.
Mito e utopia, qui, sono puri sinonimi. Nel video non a caso il poeta distingue tra l’esperienza del paesaggio e quella vera e propria della natura: il primo è sguardo dall’esterno, compiacimento a distanza, forse elezione snobistica; la seconda è al contrario una prassi, è il toccare l’erba e la terra, il metterci le mani, a volte lo sfrofondarci dentro con la faccia. Non è un caso nemmeno che nel video, a parte la conversazione introduttiva con il critico Roberto Galaverni, il poeta sia ripreso sempre in movimento, mentre parla e cammina, per esempio, tra le piante e i pensili dell’Orto Botanico di Urbino.

Massimo Raffaeli

 
 
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