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Il poeta Umberto Piersanti presenta “Nel folto dei sentieri”.
di Lucilla Niccolini - CORRIEREADRIATICO.IT


ANCONA – È forse il poeta marchigiano vivente con il più diretto, viscerale rapporto con la natura. Umberto Piersanti non tradisce la sua poetica, inaugurata nel ’67 con “La breve stagione”, e anzi ce ne dà ora compiuta, emozionante prova con la sua ultima raccolta: “Nel folto dei sentieri” (Marcos y Marcos).
“Sempre in lotta contro il tempo, in uno scontro forte, ma in un rapporto nuovo con esso. Vuoi un esempio? Per me, mio figlio Jacopo, autistico (“abita una contrada/senza erbe e fiori”), da bambino è stato presenza magica e lontana: come gli sprevengoli narrati da mio nonno. Ora non posso più mitizzarlo, ma lo vivo nella sua fatica quotidiana d’esistere”.

E delinea tre momenti della sua maturazione: “Il tempo differente”, del ’74: “il tempo della contemplazione e dell’amore, contrapposto alla quotidianità”; vent’anni dopo, nel ’94, ne “I luoghi persi” la memoria torna indietro e si confonde col sogno, in una dimensione magica, che si proietta anche nel romanzo “L’uomo delle Cesane” che pubblica in quello stesso anno. “Il terzo momento è l’eros, che pervade tutte le mie poesie. È forse solo in quest’ultima raccolta che scompare…”.

Ma restano i profumi e gli odori della campagna e delle colline selvatiche, accanto alle trasparenze del mare Adriatico e al biancore delle rupi del Conero…

“Ma a guardar bene inauguro anche un rapporto con i tempi nuovi, senza contrapposizioni ideologiche col mondo antico: è il tema della prima sezione della raccolta”.

S’intitola “Il tempo nuovo”. Ma qui la poesia “Viola d’inverno” sembra riferirsi piuttosto a un non-tempo, quello di bambini morti troppo presto: “che senso ha la vita/per chi nella vita dimora/un solo istante?/La fatica del nascere/a che serve?”.

“La risposta è negli ultimi versi: …il dono della nascita/permane”.

Ma tu sei credente?

“Per la razionalità, ho difficoltà a credere, ma emotivamente sono portato ad accettare la fede in cui sono nato. Ma vero è che alla trascendenza ho sempre preferito il legame con la terra. Guarda, è più facile trovare una risposta nella poesia Mese di maggio: “il sacro che io temo/e da cui fuggo/…/m’apparve un giorno/così mite e chiaro”.

Il tuo continuo pendolarismo tra prosa e narrativa è forse legato a periodi diversi della tua vita?

“Ci sono tempi che non puoi narrare in poesia, in cui mi viene voglia di narrare in modo più disteso. È una scelta di sguardo sulle cose. Sono due approcci diversi alla scrittura, che pure ho praticato contemporaneamente. A volte la poesia è intrisa di vicende non solo interiori; e la narrazione sa essere piena di momenti lirici: non a caso, i miei autori preferiti sono Proust e Pavese”.

Consideri questa raccolta come un punto di arrivo o di partenza?

“Dopo la trilogia da Einaudi – “I luoghi persi”, “Nel tempo che precede”, “L’albero delle nebbie” – segna piuttosto una ripartenza di viandante. E io parto sempre portandomi dietro tutto il mio bagaglio: nessuna cesura, ma stacchi, senza tralasciare mai ciò che è passato. Non ci sono sconvolgimenti nel mio percorso…”.

“Nel folto dei sentieri”: vi si sente l’odore della contemporaneità. Scriveresti un romanzo sul tempo presente?

“Preferisco raccontare la mia memoria, ma per confrontarla con questo tempo, di cui parlo, ma senza demonizzarlo: non polemizzo, cerco di capirlo”.

Cosa delle Marche ha più valore per te?

“La nostra è una regione laterale, con momenti eccelsi, e una bellezza contenuta e intensa. Ma anche luoghi prorompenti. Sono tanti i luoghi meno celebrati da scoprire! E i marchigiani, appartati e tenaci, hanno semmai il difetto di una ritrosia che sconfina nella negazione delle cose, e che non fa vedere. L’ho molto cantata, questa regione, e difesa: mi sono anche schierato contro l’uscita dei nove comuni del Montefeltro verso la Romagna. Mi sono esposto molto, mi va riconosciuto…”.

Ma la tua polemica non è mai violenta.

“Già: dura ma rispettosa, serrata e non violenta. Soprattutto non mi piacciono le sparate inutili. Per questo non sono amato dai superimpegnati! Trovo che la lotta del poeta non è per la polis, ma contro il destino di dolore e la precarietà che accomuna l’essere umano”.


 
 
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